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I pianti e i lamenti dei pesci fossili di Aannamaria Ajmone

2025-06-21 15:24

Array( [87500] => Array ( [author_name] => Donato Zoppo [author_description] => (Salerno, 1975) scrive per i magazine «audioreview» e «Jam», dal 2006 al 2023 ha condotto il radio show Rock City Nights, dal 2005 dirige l’ufficio stampa Synpress44, con cui si occupa di comunicazione per musica e spettacoli. Ha scritto su Beatles, Lucio Battisti, pfm e tanti altri, diventando uno dei saggisti musicali più stimati in Italia. Per Compagnia editoriale Aliberti ha pubblicato "Lucio Battisti. Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale" (2023) e "CSI. È stato un tempo il mondo" (2024). [slug] => donato-zoppo )) no author 87262

I pianti e i lamenti dei pesci fossili di Aannamaria Ajmone

“I Pianti e i Lamenti dei Pesci Fossili” è uno spettacolo multidisciplinare che, attraverso danza, voce e arti visive, esplora il tempo, la materia e la fr


“Al confine sfumato tra organico e inorganico, tra vita e non-vita,


il fossile è una testimonianza materiale


 e poetica dello scorrere e dello stratificarsi del tempo”.




Sabato 23 novembre  presso la Compagnia Virgilio Sieni a Firenze, Aannamaria Ajmone e Veza Maria Fernandez Wenger hanno messo in scena lo spettacolo “I Pianti e i Lamenti dei Pesci Fossili” che nasce da una pratica di ricerca collettiva e multidisciplinare, ideato da Annamaria Ajmone (danzatrice e performer), Stella Succi (ricercatrice), Natalia Trejbalovà (artista visiva) e Veza Fernandez (danzatrice e performer). Il progetto esplora temi profondi e universali, utilizzando il linguaggio della danza, della ricerca e delle arti visive per interrogarsi sulle relazioni tra corpi, tempo e materia, al confine sfumato tra organico e inorganico, tra vita e non-vita. 


Il fossile, con la sua natura immutabile e silenziosa, diventa il punto di partenza della riflessione sul tempo. Testimonianza materiale dello scorrere del tempo, il fossile si erge come un simbolo poetico della stratificazione della storia e del ciclo eterno di vita e morte. È una traccia che conserva la memoria di un passato remoto, ma che, attraverso il suo stesso essere, interroga il nostro presente e il futuro della nostra esistenza, segnato dalla Sesta Estinzione.


Lo spettacolo si sviluppa proprio a partire da questa suggestione: i "pianti e i lamenti dei pesci fossili" non sono solo un riferimento diretto alla morte delle specie animali e vegetali, ma anche un tentativo di costruire relazioni tra corpi e tempi incommensurabilmente distanti. La danza e la voce delle performer diventano il veicolo attraverso cui rivivere, ma anche piangere, la trasformazione perpetua della materia, che sembra sfuggire alle leggi di un tempo lineare e ordinato.


Le possibilità di relazione tra corpi, materiali e tempi sono esplorate in modo profondo e dinamico dalle performer. Due sono le "interfacce" principali che vengono messe in gioco: la pelle e l'aria.


La pelle, come membrana che separa e al tempo stesso connette l’interno e l’esterno del corpo, diventa il motore del movimento. È attraverso la pelle che il corpo percepisce e si relaziona con ciò che lo circonda, in un continuo scambio di sensazioni. La pelle, in questo senso, non è solo un limite fisico, ma un luogo di connessione con il mondo e con gli altri corpi. Il movimento delle danzatrici, quindi, diventa non solo una manifestazione fisica, ma anche una risposta sensibile e percettiva alle forze che governano la materia, la vita e la morte.


L'aria, invece, viene attraversata dalle voci delle performer, trasformandosi in uno "spazio prima di ogni localizzazione". L'aria non è solo il mezzo attraverso cui la voce si propaga, ma diventa una dimensione elastica, fluida e indeterminata, che permette di esplorare la relazione tra il corpo e l'ambiente in modo non concreto, ma potenzialmente infinito. L'uso della voce, intesa non solo come suono ma come forza vibrante che invade lo spazio, crea un dialogo tra la materialità del corpo e l'intangibilità dell'aria, portando la performance verso un'esperienza sensoriale che travalica la visione e l'udito, invitando lo spettatore a un coinvolgimento totale.


In questo contesto, "I Pianti e i Lamenti dei Pesci Fossili" si inserisce anche come una riflessione sul nostro presente. Le azioni e i suoni delle performer non sono solo un richiamo alla memoria di ciò che è stato, ma anche un urgente grido verso il nostro tempo, segnato dalla perdita irreversibile di specie, ambienti e culture. Il fossile diventa, quindi, anche una metafora della nostra condizione contemporanea: la consapevolezza di essere parte di un ciclo che, sebbene eterno, è continuamente minacciato dalla nostra stessa esistenza.


In conclusione, "I Pianti e i Lamenti dei Pesci Fossili" è uno spettacolo che va oltre la semplice esibizione. È un’esperienza sensoriale, intellettuale e emotiva che invita a riflettere sul nostro posto nel flusso del tempo, sulla relazione tra corpo e materia, tra vita e morte, tra ciò che è visibile e ciò che è invisibile. Con un linguaggio che mescola danza, voce e arte visiva, le quattro artiste creano un ponte tra passato, presente e futuro, invitando lo spettatore a confrontarsi con le tracce che la storia lascia, a interrogarsi sul significato della trasformazione e a chiedersi come possiamo, oggi, ripensare le nostre relazioni con il mondo che ci circonda.


Giulia Guasti  



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Dorso digitale e cartaceo de «Il Mancino», testata registrata presso il Tribunale di Reggio Emilia 3/2016. 

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