Enrico Bellavia Prefazione a La notte dell’antimafia di Lucio Luca Una zarina ubriaca di potere, stordita da un parentado vorace e imbelle. Del resto, non è forse la famiglia la sentina di ogni amoralità? E poi uno stuolo di accomodanti leccapiedi inventatisi manager dall’oggi al domani, un vorticoso giro di soldi da perderci la testa. Quindi la schiera dei paladini, eroi dall’etica a corrente alternata. Le Cassandre inascoltate e tacitate con ignominia. I mafiosi che se la ridono. I non mafiosi che piangono tutte le lacrime dell’ingiustizia. Quelli che non sono né l’uno né l’altro, ma che provano a ritagliarsi un ruolo nell’indegna messinscena. Non fosse costato sangue e lutti, esistenze annientate, generazioni ipotecate dalla macchia del sospetto, la credibilità di uno Stato precipitata al minimo storico, sarebbe un circo, un incontro di wrestling tra giganti dopati. Muscoli gonfi e menti annebbiate. Colpi carichi che arrivano flosci. Rovinose cadute senza supplizio. L’Antimafia spettacolo che non si risparmia lordure e guittezze, a beneficio della folla plaudente. Silvana, protagonista di questo libro, è un giudice che ha tradito i suoi maestri, idolatrati nel martirio che sterilizza anche solo la vaga eventualità di eguagliarli. L’antagonista è Gianfranco: vittima suo malgrado. Paga il prezzo delle storture di un sistema che bolla di infamia anche chi le accuse se le è scrollate di dosso, ma perde comunque tutto: reputazione e beni. Quando, in fondo al calvario, il patrimonio torna indietro, perché accade più spesso di quanto si immagini, è scarnificato dalla voracità di irresponsabili incapaci, consumato dai debiti. È accaduto tutto per davvero e Lucio Luca lo racconta in queste pagine. Dice di loro. Ma dice di noi. Spettatori non paganti di un match che ci ha propinato eroi di carta, sostenuti dalla grancassa della propaganda, in nome di una battaglia che sarebbe cosa seria, se non l’avessero trasformata in un ring farsesco. Sugli spalti, ai margini, ci siamo ingozzati di slogan sperando di ingrassare in consapevolezza. Ci troviamo, invece, con le nostre migliori leggi, votate nel sacrificio degli autori, ridotte a sudici e sgualciti programmi di sala. E noi pronti a spellarci le mani al prossimo show. Enrico Bellavia Direttore del settimanale «L’Espresso»
